La rivincita… di Martina Chinello

Anno 2022. Una sfiga dietro l’altra. Quasi sbalordita del fatto che la prossima non fosse ancora arrivata, ciò nonostante, è stato l’anno della rivincita. Il secondo Spigolo della Tofana si è fatto scalare e soprattutto quella via tanto temuta, tanto attesa da quel 20 agosto del 2017, dopo l’incidente ed un volo che mi era costato una frattura dell’astragalo e due interventi, con l’incertezza di non poter più arrampicare. Del resto la ruota gira e con coraggio mi sono cacciata nuovamente in questa avventura verticale, la via Costantini/Ghedina.


Con il mio amico Stefano, compagno consolidato di cordata, decidiamo che quel fine settimana di luglio fosse finalmente il fine settimana giusto. Con noi si aggrega anche Francesco, amico di scalate, molto preciso e preparato. Partiamo il sabato sera per dormire in tenda vicino al rifugio Dibona, sotto la maestosa Rozes. Quando arriviamo, il rifugio ci accoglie calorosamente e noi con nonchalance ci beviamo due belle grappette per festeggiare l’indomani, ma ahimè il tempo ci regala solo freddo e pioggia e alla notte siamo costretti a dormire in macchina tutti scomodi e pressati come sottilette. La notte è passata ed alle prima luci dell’alba, il naso esce dal finestrino. Una leggera brezza congela il viso, ma i raggi caldi scaldano già il cuore. Ci mangiamo una fetta di crostata, gentilmente preparata da Francesco, ma qualcosa ci blocca subito e li inizio a pensare a mille cose che non potrebbero andare. Francesco avverte un dolore al braccio e alla
mano e la cosa non sembra passare, quindi con rammarico decide di non salire e, con tristezza, ci comunica che ci avrebbe aspettato alla cengia in discesa. Ci raggiunge però Giovanni, che parte da Belluno.
Infreddoliti per via delle basse temperature, ci incamminiamo verso questo spigolo che si innalza prepotentemente verso il cielo. La roccia risplende di un bel colore arancio (cosa positiva), il sole inizia a scaldare e noi abbiamo già attaccato la parete. I primi tiri vanno via veloci, i IV quarti gradi sono belli, li scaliamo con tranquillità, la bellezza di quasi 200 metri ormai è sotto i piedi, ora inizia la parte più ostica, dove il grado si eleva, si arriva fino al VI- le lunghezze sono più atletiche e delicate, giusto per dare un po’ di “croccantezza” alla salita. Il tiro più bello ed esposto è un traverso, dove si può azzerare, è molto protetto da chiodi e buchi giallastri. A mano a mano che superiamo le difficoltà, la via diventa più ammanigliata e versatile, sempre sul IV IV+. La roccia è fantastica e noi la scaliamo tutta d’un fiato.


Siamo all’uscita della via, la gioia riempie gli occhi di lacrime, lacrime di felicità, che mi portano a ringraziare vivamente i miei due grandi amici di cordata che mi hanno accompagnato in quella bellissima avventura.
Scendiamo lungo l’espostissima cengia, dove Francesco ci accoglie con della Lemonsoda freschissima e ci abbraccia facendoci i complimenti, poi puntiamo verso il Giussani per poi raggiungere il Dibona, dove obbligatoriamente ci scoliamo una bella birra fredda e ci riempiamo lo stomaco con un panino voluminoso.
Quel giorno ho viaggiato di felicità, anche se felice è dir poco.
Ben cinque anni ci sono voluti per pareggiare i conti, ma ora, carica di orgoglio e felicità posso dire che è una delle più belle vie in dolomiti che io abbia mai scalato.

L’articolo dell’incidente pubblicato qualche anno fa: https://momentiverticali.wordpress.com/2020/05/11/lambizione-dei-sogni-racconto-di-martina-chinello/

Articolo e foto di Martina Chinello

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